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A cantare si impara nell'infanzia
Per riflettere
Per riflettere

(tratto e tradotto da un articolo di Agnès Chaumié apparso su Petite Enfance No. 95, dicembre 2005, Ed. Pro Juventute)

 

Il neonato, attraverso la voce,  produce grida e rumori vocali che esprimono il suo stato corporeo, di piacere o di dolore, senza che siano necessariamente rivolti a qualcuno; l’adulto risponde a questo “linguaggio del corpo” con cure e suoni. Il bambino pian piano comincia ad esercitare le sue capacità vocali, a ripetere quello che si sente dire. Si appropria dei tratti melodici della lingua prima che delle parole.

L’adulto, quando si rivolge al bambino molto piccolo, canta più che parlare: cambia il tono della sua voce per il piacere di comunicare, per attirare la sua attenzione, per rassicurarlo, per cullarlo. Il bambino tende ad imitare la melodia della lingua dell’adulto, e a sua volta la melodia della parola dell’adulto si adatta alla lallazione del bambino. Al di là delle parole, la madre comunica al bambino che è con lui e che ha piacere nello scambio con lui.

Le vocalizzazioni del bambino porteranno da un lato alla parola e dall’altro all’espressione delle emozioni attraverso il canto spontaneo.

 

La canzone appare con le filastrocche, le ninne nanne e i  giochi  di contatto, dove il corpo, la voce, lo sguardo e i movimenti del viso sono spesso mescolati. Con grande interesse del bambino, le parole, la melodia e i gesti che vi si riferiscono potranno ripetersi in modo identico, in modo tale da permettere  al bambino non tanto di imparare a cantarle, quanto di parteciparvi attivamente, anticipando i gesti e imparando ad aspettare. Associando le parole al “toccare”, il corpo diventa memoria della voce.

Attraverso la storia e le immagini raccontate in una canzone si rigiocano, senza che ne abbiamo sempre coscienza, emozioni più importanti di quanto non sembri. Al di là della comprensione delle parole e dalla capacità di immaginare quello che racconta la canzone, l’immaginario si costruisce nell’esperienza plurisensoriale, custodendo la traccia delle parole e delle voci che sono svanite. E’ su tutte queste emozioni fatte di sensazioni che si fonda per il bambino il senso delle prime canzoni: gli danno la capacità di sognare, di creare il suo immaginario. Le parole raccontano una storia, il corpo la mette in scena e la voce dell’altro la iscrive in una relazione d’amore, senza la quale questo momento non avrebbe senso.

 

Le ninne nanne fanno parte delle prime canzoni, dove però, rispetto ai giochi di contatto, non c’è più niente da vedere: non ci sono più gesti, non c’è più gioco, rimangono solo delle parole, una melodia  e il suo tempo. Più che nella canzone in sé, è nel modo di cantare che si gioca la ninna nanna. In questo corpo a corpo a distanza, l’adulto adatta il suo tono al tono del bambino, modificando istintivamente il timbro della sua voce man mano che il piccolo si rilassa. Il canto segna la presenza del corpo dell’adulto che come un filo accompagna il bambino nel sonno. Le parole si perdono e, progressivamente, della canzone rimane solo una voce, sempre più mormorata.

 

Come adulti, noi ricordiamo soprattutto il senso del testo, mentre il bambino ricorda certe canzoni molto prima di capirle e di saperne cantare precisamente le parole: spesso quando il bambino piccolo canta, vi si riconosce già la melodia, il ritmo e il suono delle parole.

A forza di sentirle, le canzoni impregnano la memoria e il bambino si appropria di un repertorio che al momento giusto canterà. Verso un anno il bambino mostra dei segni di apprendimento (con un gesto della mano, un movimento del corpo, il ritmo di un vocalizzo,…) . Un po’ più grande, il bambino conosce dei pezzi di canzoni, le rime di fine frase, il ritornello. A tre anni il linguaggio e la canzone si mescolano in un gioco dove il bambino inventa le sue canzoni. Alcuni bambini sanno già cantare relativamente bene a 2 anni, mentre per altri la padronanza della melodia apparirà solo verso i 6 anni.

L’adulto rivolge la sua canzone al bambino, interpreta la canzone in funzione di quello che vive nella relazione con lui. In questo incontro si trasmette il desiderio di cantare, e per questo è importante il legame che chi canta ha  con la sua canzone, più che il fatto di avere una bella voce o delle grandi competenze musicali.

Se l’adulto canta solo per far cantare il bambino, non lascia alcun tempo per il sogno. La canzone è una questione di emozioni, di espressione di stati d’animo, ha a che fare con l’intimità e con la gratuità, e non deve diventare giudizio.

Se il desiderio di cantare è comune, la relazione tra le persone che hanno condiviso questo momento risulta modificata.